mercoledì 16 maggio 2007

16-05-07 a Djambotou

Carissimi amici,
a Djambotou sono le otto e ventiquattro di un martedì mattina che non ha ancora regalato al cielo la consueta luce brillante. Sdraiato sul mio letto, con una mezza giornata di riposo, dopo tanti giorni senza notizie, vi invito ancora una volta a spiare questo mondo dalle tendine della mia camera in Cameroun (o "cameroom" come qualcuno ha cominciato a chiamarla) sapendo che queste parole che si snoderanno in mezzo a congegni capaci di far loro percorrere quattromila chilometri in qualche secondo avrei voluto dirvele a voce, tenendovi le mani e guardandovi negli occhi per riuscire a trasmettere il colore e il calore che questo posto è capace di regalare.


Un mese e qualche giorno, i cugini francesi abbracciano il loro nuovo presidente, il Bel paese nelle piazze incorona l'Inter campione d'Italia, e anche qui senza fare troppo rumore si vive e la gente continua a portare avanti le proprie sfide quotidiane.
In realtà un po'di avvenimenti meriterebbero la prima pagina. Innanzi tutto, piove. Dopo due mesi e mezzo di scene alla Tarantino per combattere il caldo infernale, un roboante temporale liberatorio ha restituito a Garoua la gioia dell'acqua: i miei ragazzi di strada hanno cominciato a lanciarsi nudi nelle pozzanghere del campo da basket della MJC , le mama danzavano fuori dalle botteghe ringraziando Allah per l'immenso regalo, nei bar si brinda al primo grande acquazzone dell'anno.

Io non vi nascondo che non avevo mai goduto così del profumo della pioggia.
Ma la cosa più incredibile è che sono bastati tre sporadici temporali per cambiare l'intero paesaggio: giorno dopo giorno si è cominciato a intravedere un manto verde rivestire i secchi campi di mais e manioca e in due settimane tutto ciò che era giallo ha preso un nuovo colore.
Sempre in prima pagina, a parte l'aereo della Kenya Airlines che è precipitato nella zona di Douala -notizia che è rimbalzata sulle vetrine dei telegiornali internazionali-, un altro paio di storie di cronaca urbana hanno segnato la vita di Garoua trasformandola in una sorta di Twin Peaks.
Qualche settimana fa i corpi senza vita di cinque ragazzi sono stati esposti al pubblico nello spiazzo di fronte alla gendarmeria: un segno di forza da parte del Corps d'Intervention Special (autorizzato all'esecuzione immediata) nei confronti dei coupers de route, banditi che, di notte, si nascondono ai bordi delle strade che tagliano la brousse per assaltare i viaggiatori e far preda di tutto ciò che trovano loro indosso. Un fenomeno che logora il Nord del Cameroun da una vita ma che si è intensificato sotto il governo Biya e che ora si è scelto di affrontare con la linea dura.
La seconda è una storia folle che da venerdì scorso è sulla bocca di tutti e che è diventata una vera e propria sindrome: gira voce che Garoua sia stata infestata dai vampiri e che ne abbiano arrestato uno (e che pagando 150 franchi ai poliziotti te lo facciano vedere). Allora, premesso che qui la fantasia popolare viaggia e crederebbero anche ai gremlins, vero è che la notizia è stata diffusa via radio e sembra che abbiano sul serio fermato un tizio che mordeva la gente per succhiarne il sangue…so che ora siete molto più tranquilli.

La città ha vissuto un altro importante momento collettivo il primo maggio: qui la festa dei lavoratori è molto sentita, la mattina una lunga sfilata permette a tutti coloro che hanno un impiego di passare nella via centrale, davanti a concittadini e autorità, con carri e cartelli inneggiando alla loro fortuna. Di norma il capo offre il pranzo ai dipendenti e litri di birra e musica ivoriana accompagnano i festeggiamenti fino a notte inoltrata.


Un altro momento di festa, con altro significato e altra celebrazione, l'abbiamo vissuto il 28 Aprile scorso all'inaugurazione del centro di accoglienza per ragazzi di strada denominato SAARE DJABBAAMA. Il centro, che non è un orfanotrofio ma una struttura di passaggio dove i bambini che hanno scelto di tornare in famiglia possono vivere un periodo di transizione, è già funzionale da un anno, ma ancora non c'era stata la pomposa cerimonia. Dopo i discorsi del responsabile della struttura, delle autorità politiche e religiose, i ragazzi hanno fatto sentire la loro voce, prima con la messa in scena di una piccola piece di teatro che rappresentava un quadro tipico della vita di strada, poi con l'esecuzione di un canto che avevamo scritto e preparato assieme che diceva tra le altre cose: autorités du Cameroun, qui gouvernez du nord au sud, aujourd'hui c'est notre jour, nous sommes les enfants du futur . La preparazione del canto è stata un'occasione per riflettere proprio sull'idea di futuro che per questi ragazzi, abituati a vivere alla giornata, non è spesso contemplata.


Se il programma ragazzi di strada (PEDR) è -ovviamente- un progetto a fondo perso, la Maison des Jeunes, in quanto centro non di intrattenimento ma di animazione e formazione, è una struttura che avrebbe le potenzialità per produrre e contribuire al finanziamento delle sue attività. Il problema è di mentalità, e non è possibile cambiarla dall'oggi al domani. Ma l'idea è che se una parte del budget annuale fosse investito in beni produttivi o nel finanziamento di corsi di formazione, puntando sulla qualità e sulla proposta sociale si smetterebbe di pensare che tutto è dovuto e che si sta in piedi solo perché ci sono le donazioni internazionali o i soldi di un ONG straniera. Il contesto è fondamentale per stabilire l'impostazione e gli obiettivi di una struttura e pensare che una "casa dei giovani" nel Nord del Cameroun, dove il lavoro manca e la povertà è diffusa, possa funzionare come un oratorio o un centro sociale e stare in piedi solo grazie al volontariato secondo me è un grave errore. A parte l'animazione coi più piccoli, indispensabile in un luogo dove manca qualsiasi proposta di aggregazione per i bambini, l'offerta per i ragazzi dovrebbe puntare più in alto e sfruttare le competenze per proporsi come una associazione che dà ai giovani delle possibilità e non solo il terreno per scambiare due chiacchiere. Anche il mio intervento col gruppo "promotion jeunes filles" si è volto in questo senso. Delle ragazze senza istruzione e senza lavoro abituate a frequentare passivamente un corso di cucito, cucina, tintura e peri-cultura (che loro stesse hanno pagato) per due settimane e mezzo si sono messe a lavorare sodo. Hanno prodotto borse, zainetti e grembiuli che da questo sabato saranno venduti in Italia. Il ricavato sarà tripartito: io mi riprenderò il capitale che ho speso per i tessuti, lo stesso capitale lo reinvesterà il gruppo per acquistare nuovi tessuti e continuare a produrre, una terza parte contribuirà a finanziare le spese per un murales che sarà fatto dai ragazzi della stessa MJC. Per le ragazze il mercato italiano non sarà infinito, ma intanto hanno cominciato a lavorare sulle stoffe e non sui rotoli di cartone, stanno facendo pratica e pian pianino sta entrando nella loro testa l'idea che hanno una capacità che può fruttare qualcosa, cominceranno a gestirsi da sole il loro piccolo capitale a valutare dove investirlo e perché.


Troppo spesso inciampiamo in facili sillogismi sull'Africa. Tra i più comuni quello di considerarlo un continente senza speranze che ha bisogno di macrosoluzioni ai suoi macroproblemi. Forse è un comodo alibi per tenercela lontana. Ma finché sarà così l'Africa continuerà a bussare alla nostra porta come un vicino fastidioso e invadente. L'Africa che sto conoscendo io - che non vive la guerra e le catastrofi naturali da tempo- è un'Africa che ha bisogno di educazione, di valorizzare il proprio lavoro, di consulenza per non fare investimenti sbagliati, di piccoli capitali per iniziare un'attività che deve essere seguita.
Non ha senso mettere dei grandi cestini di latta con la scritta "unione europea" nel quartiere più sporco di Garoua sperando che la gente dall'oggi al domani si riscopri ambientalista. I cestini spariranno dopo qualche giorno per essere rivenduti in pezzi in qualche mercato della zona.
Non ha senso costruire dei pozzi in un villaggio dove per secoli ne hanno fatto a meno, senza costituire un comitato di gestione, senza rendere gli abitanti partecipi della spesa perché sentano nelle loro tasche il peso dell'investimento e capiscano i benefici che questo tondo nella terra può offrire. Al primo guasto lasceranno stare il pozzo dei bianchi e continueranno a fare come per secoli hanno fatto.
Non ha senso mandare giù mezzi, soldi, oggetti, senza delle persone capaci di formare dei locali su come utilizzarli, su come sfruttarli. Lasciamo le donazioni a chi si occupa di emergenze, qui regalare a chi ha due braccia e una testa suona come un insulto. Ha senso promuovere le GIC (gruppi di interesse comune), l'associazionismo dai progetti validi, i gruppi che si auto-tassano per avere una cassa cuscinetto, i gruppi di tontines che credono nell'emancipazione, il lavoro delle persone che non si piangono addosso ma si sbattono per uscire da una situazione di miseria.
In Cameroun a volte si vedono due uomini adulti camminare assieme mano nella mano. Senza vergogna o malignità, è un segno di amicizia e di fiducia. L'Africa non chiede (e non deve chiedere) favori o pietà ma riconoscenza del suo valore, delle sue competenze, del suo lavoro. Chiede di essere presa mano nella mano, non come un vecchio in difficoltà, ma come un bambino che ha davvero voglia di crescere.
JJ