Carissimi amici, non sarà facile scrivervi dopo così tanto tempo ma i ricordi, i volti e le voci sono ormai troppi e troppo forti. Mi farò aiutare da un sano blues e dal piacevole venticello che stasera prevale persino sulla fittissima zanzariera avvolgendo la mia stanza di un'insolita frescura. L'ispirazione potrebbe essere turbata soltanto dalle moustiques che nonostante le barriere trovano dei pertugi per entrare e ronzarmi nell'orecchio senza pace, e dalla caotica celebrazione di un deuil che sospetto fortemente andrà avanti fino all'alba.
Come si dice da queste parti, on va faire avec.
I mesi passano veloci ed eccomi già a luglio. L'Africa ti mangia, ti consuma, ti risucchia nel suo abisso senza tempo. In questo solo continente al mondo le lancette girano e pagine di calendari se ne vanno senza che ce ne se possa rendere conto; paradossale che questa sensazione sia così forte in un luogo dove le agende sono così povere di impegni e dove le giornate scorrono all'ombra di un nymie aspettando che qualcuno o qualcosa rompano la patina atrofizzante che avvolge la maggior parte delle persone. La verità è che qui il futuro è un concetto talmente aleatorio che nella testa della gente ogni giorno nasce e muore con se stesso, la prospettiva non guarda mai al domani, ed il tempo appare come monco del suo elemento più distintivo, la continuità.
I miei genitori e la mia sorellina sono venuti a trovarmi a Garoua. Un grande grazie a voi per aver deciso di spendere qui parte delle vostre vacanze, per aver sentito il desiderio di condividere con me questa esperienza e complimenti a tutti e tre per la capacità di adattamento. Mia mamma è sfuggita al serpente più pericoloso della zona che le è passato a fianco delle infradito, mio padre parlava in milanese-corso cercando consensi nei visi dubbiosi degli autoctoni, mia sorella ha dovuto vedersela con le innumerevoli proposte di matrimonio collezionate in meno di due settimane.
E il destino ha voluto che i miei arrivassero a Garoua il giorno in cui era stato programmato il viaggio di reinserimento familiare per i nostri ragazzi di strada. Così tutti mi prendevano in giro e dicevano che anch'io quello stesso giorno sarei stato reinserito in famiglia: non tornavo a casa come loro, ma era casa che veniva da me.
Intanto la stagione delle piogge sta entrando a pieno nel suo corso: il 20 maggio, festa nazionale del Cameroun, la grande parata cittadina di studenti e militari con tanto di inni parafascisti e gigantografie di sua eminenza Paul Biya, è stata bruscamente interrotta da un acquazzone allucinante (con un cielo alla donnie darko) che ha rovinato la manifestazione, ma non impedito ai manifestanti di raggrupparsi nei bar a scolarsi frizzanti 33 express brindando all'indipendenza del paese. Da allora ha piovuto quasi tutte le domeniche e ogni tanto durante la settimana.
Garoua vive di momenti corali. Quelli ordinari, come appunto il 20 mai, e quelli straordinari come l'arrivo dei lions indomptables in città. La notizia era nell'aria da tempo; vista l'indisponibilità dello stadio Omnisport di Yaounde, la nazionale avrebbe giocato qui una partita di qualificazione per la coppa d'Africa 2008 contro il Rwanda. Notizia confermata, esaltazione collettiva, e inizio della caccia al biglietto. Domenica 17 giugno, giorno atteso da una vita, le vie della città erano impraticabili e allo stadio, nel leggendario sciabà (il settore più caldo, in tutti i sensi) dalle undici del mattino la testa di un solitario nassara spiccava curiosamente tra tutte le altre. Cinque ore di attesa sotto un sole cocente, armato di panino con le sardine e succo Foster ho acclamato i Leoni, ho visto Ngandò (un obeso cosmico dipinto in verde rosso giallo che da anni è il supporter numero uno della squadra) ballare e il Cameroun vincere. Un sudaticcio vecchietto in canottiera mi ha abbracciato con gioia irrefrenabile a ciascuno dei due goal. E io ero l'uomo più felice del mondo.
Il lavoro procede. A Saare Djabbama, ho salutato i ragazzini prima della loro partenza con una serata a base di termiti in cui mi sono stato costretto a rispondere a tutte le domande che avevano sull'Italia. Impressionante sentire certe riflessioni da un bambino di dieci o dodici anni abituato a dormire in strada. In molti mi hanno stupito per l'acume e la pertinenza delle domande sull'ambiente, sulla famiglia e le abitudini, altri alzavano la mano solo per guadagnarsi un po'di considerazione e venivano fuori con perle del tipo: ci sono i sandali in Italia? ci sono le femmine in Italia? Avete le mucche?
Ora il nostro centro di accoglienza lavora a basso regime proprio perché privo di inquilini e anch'io passo molto meno tempo a Saare Djabbama. Per questa struttura la sfida dei prossimi anni è, a mio giudizio, quella di trovare una maggiore collaborazione con l'assistenza sociale pubblica. Il prezioso lavoro di ricupero che viene fatto su un bambino lungo tutto un anno rischia di essere inutile se nello stesso tempo non si fa un percorso serio con le famiglie di origine. Una volta reinserito, il bambino troverà la stessa situazione che ha evaso, e la possibilità che torni in strada sarà lì dietro l'angolo; non considerando che il lavoro di una ONG straniera non deve rimpiazzare quello di funzionari pubblici stipendiati che si siedono a giocare a carte sapendo che tanto ai ragazzi di strada ci pensano gli italiani. E' un passo tanto difficile quanto indispensabile per continuare a lavorare nell'ottica di una cooperazione che non sia volontariato eterno ma lascito di un eredità e di un modello professionale sfruttabile nel tempo dal personale locale.
Se il programma Enfants de la Rue sta prendendo un po'di respiro prima di ricominciare con un nuovo ciclo, la Maison des Jeunes è ancora in piena attività ed è qui che passo pressoché l'integrità delle mie giornate. Con i soldi delle vendite della prima produzione di borse siamo riusciti a ben finanziare il Murales, che dopo un lunghissimo lavoro sta giungendo alla sua fase finale, e con una parte del guadagno, sono stati comprati altri pagnes che sono già sotto forma di borse sulle bancarelle italiane. La ministra degli affari sociali è venuta in visita alla MJC e ha apprezzato molto il progetto "En chemin vers l'autonomie" facendosi fotografare con uno dei nostri grembiuli e incitandoci a continuare.
Per quanto riguarda il Murales, prima di cominciare gli schizzi sul muro abbiamo sensibilizzato gli animatori sull'importanza della comunicazione visuale con un corso di formazione intitolato "Anche i muri parlano" che è stato un percorso tematico dalle pitture rupestri a Keith Haring passando per i batik, abbiamo discusso e scelto il tema (Faadah Me-den: grandir ensemble), abbiamo fatto realizzare ai bambini i loro bozzetti, li abbiamo esposti e votati, ed eletto un vincitore che ora sta collaborando con gli artisti nella pittura su muro. Il 14 ci sarà l'inaugurazione e posso già rivelarvi che sta venendo fuori un bellissimo lavoro…
In ogni caso le soddisfazioni maggiori arrivano dall'esperienza con il neonato gruppo "Eban Ivoire", un' accozzaglia di disperati che hanno cominciato a cantare da meno di tre mesi ma che, con tante prove e con un esibizione caratteristica sono stati capaci di aggiudicarsi l'ambito Premio Cittadino della Musica. Noi abbiamo già festeggiato il trofeo a dovere, portandolo in girò per la città manco fosse la coppa del mondo, a voi regaliamo la possibilità di sentire il pezzo che ci ha portato alla vittoria.
A volte mi sento lo Zelig di Allen (questo in realtà succedeva anche a Milano) ma se è vero che l'osmosi mi sta rendendo un po'camerunese non dimentico nessuno di voi e non vedo l'ora di rivedervi fra un paio di mesi per raccontarvi a voce le mille avventure. Non sarà l'ombra di un baobab a fare da scenario per queste storie, ma cercherò di cantarvi su un divano o da un palco quest'Africa che sa prendere la pancia e il cuore.