Carissimi,
settimana scorsa ho festeggiato i miei primi due mesi in Cameroun e ho dunque deciso di farvi qualche regalo. Il primo è la canzone che ormai da qualche giorno ho pubblicato (pardon, l'efficacissimo Smirne ha pubblicato) sul blog: è il frutto di una serata passata con qualche amico in un cortile, sotto un cielo stellato e con l'odore dei corpi sudati nelle narici, suonando la musica più calda del mondo.
La seconda sono le foto che vi sto inviando, così che possiate lasciarvi incantare e provocare dalla visione di immagini inconsuete per i nostri occhi.
La terza è questa frase che dà un senso al mio essere qui, lontano da casa, da voi e dalle abitudini assimilate in ventidue anni di vita. E' il pensiero di un signore che qualche mese fa è stato premiato con il Nobel per la Pace.
Questa settimana a Garoua si respirava un atmosfera surreale: mercoledì ci siamo svegliati avvolti nella brume secche, una nebbia fittissima di sabbia e polveri sollevatesi dal deserto che ti entrano dappertutto, portando addirittura a contrarre infezioni e meningite, motivo per cui molta gente non usciva di casa.
Inoltre da qualche giorno la polizia sta mettendo a setaccio i conducenti abusivi di mototaxi; chi viene trovato sprovvisto del permesso si becca una ammenda non da ridere e quindi trasporti bloccati e altra gente costretta a stare a casa.
Ma soprattutto venerdì mattina – dopo cerimonia stracabarettstica del giovedì sera- si è sparsa la voce che il Pallone d'oro africano è stato consegnato all'ivoriano Drogba e non a Sant' Eto'o…sorta di lutto nazionale e di conseguenza gran parte dei negozi chiusi.
Aggiungete alla nube di sabbia e allo spopolamento le spettrali carcasse delle auto abbandonate che imperversano ad ogni angolo della strada e, se siete della mia generazione, immaginate le ambientazioni post-atomiche di Ken Shiro. Qualcosa di simile.
Pian piano mi sono ambientato anche qui al Nord. Il clima sta diventando sempre più torrido, e nelle ore centrali della giornata il termometro non s'azzarda a scendere sotto i quaranta gradi (qui c'è addirittura chi dice, forse per mancanza di termini di paragone, che Garoua sia la città più calda al mondo) ma per fortuna la casa ben ventilata per ora è ancora un rifugio piuttosto fresco e, altra fortuna, i miei coinquilini (Chicco, amministratore di tutti i progetti COE di Garoua; Angelle responsabile della casa; Sara e Isia, due ragazze torinesi laureande in farmacia venute per un progetto, che nonostante la loro infinita volontà non è ancora partito; Luca, agronomo di Milano, che è arrivato da qualche giorno) sono tutte persone piacevoli.
Ma la fortuna più grande è quella di essere stato inserito in due bellissime realtà con personale preparato e tante ambizioni. Il primo è il progetto EDR (Enfants de la Rue –Ragazzi di strada), che punta attraverso strutture e attività differenti ad aiutare i numerosi ragazzi e bambini che per vari motivi sono finiti sulla strada. Garoua è una città di riferimento per tutto il Cameroun settentrionale, un centro economico e commerciale che gira intorno alla Sodecoton (l'industria che dà lavoro a più persone e produce di tutto; sta a Garoua un po' come la Fiat sta a Torino) dunque i ragazzi che lasciano i villaggi è qui che cercano fortuna o solamente un po' di avventura. Spesso la decisione di lasciare le famiglie cela problemi di convivenza (forse il caso più diffuso è quello della matrigna che maltratta i figli avuti dal padre con la prima moglie), sta di fatto che le strade sono colme di ragazzi di 8-25 anni che vivono alla giornata cercando di racimolare la cifra sufficiente per mangiare e prendere gli stupefacenti (soprattutto la kola che ti sballa per qualche ora facendoti passare l'appetito). La sfida educativa è enorme perché spesso i ragazzi sono sulla strada da tempo e non hanno intenzione di abbandonarla: la libertà, oltre al senso del branco, per molti di loro conta davvero più di tutto. L'intervento è bilaterale: si cerca di lavorare su di loro ma nello stesso tempo sulle famiglie per valutare un possibile reinserimento. Concretamente 5 educatori (tutti camerunesi, più me adesso) si alternano nei differenti ambiti in cui si sviluppa il progetto : la maison de jeunes dove 2 volte alla settimana si accolgono i ragazzi di strada - con una media di 40-50 presenze-, si gioca, si guarda un film, si effettuano medicazioni, si offre loro un pasto e la possibilità di lavarsi e lavare i loro vestiti oltre ad una costante possibilità di scambiare due parole; la strada, dove ogni sera un educatore a turno va a controllare se ci sono problemi; la prigione; i viaggi per andare a incontrare le famiglie d'origine; la Petit Maison dove vivono a tempo pieno 13 ragazzini che hanno scelto di cambiare vita; la ferme, dove si offre un percorso di ricupero ai ragazzi più grandi.
Il secondo è un progetto di animazione con relativa Maison de Jeunes simile a quella di Yaoundè ma con utenza più elevata e con attività più strutturate.
Più passa il tempo e più sono felice della mia scelta. La possibilità di vedere realmente è un privilegio senza uguali. Inoltre i ritmi camerunesi, rallentati dalla canicola che giorno dopo giorno si fa sempre più soffocante, mi offrono l'occasione per pensare, per progettare, o solamente per uscire di casa e sedermi in un bar accanto a qualche vecchio solitario che ha voglia di farsi ascoltare. A volte andiamo a cercare le risposte ai problemi della vita chissà dove, ci riempiamo di tutto per non sentire che dentro qualcosa muore, dimenticandoci dei preziosi segreti di cui sono custodi tanti uomini, donne, bambini che abbiamo accanto ogni giorno e che facciamo finta di non vedere. Sono storie di vita, storie assurde che raccontano un mondo che noi frenetici abitatori di città, impeccabili esecutori, consumatori di pacchetti, percepiamo come un universo tangente ma nel quale ci guardiam bene dall'addentrarci.
Penso a Brigitte che ha un marito cieco e un figlio disabile e ogni mattina puntualissima viene col sorriso a lavorare nella casa dei bianchi
Penso ad Aziz che è cresciuto giocando nella stanza dove la mamma "intratteneva" i clienti.
Penso a Douxa che non si vergogna a dire che la sua faccia è stata deturpata dall'acido che gli hanno tirato addosso perché l'han sorpreso a rubare.
Penso a David che mi racconta la trama di film che ha inventato solo per guadagnarsi un po'd'attenzione.
Penso a Esperance che a 50 anni ha ancora voglia di giocare col corpo insegnando il Teatro senza chiedere nulla.
E poi penso a quanto è bello e quanta importanza abbia passare dall'essere chiamato nassara (uomo bianco) a essere chiamato Paolo.
Quanto mi piacerebbe che foste qua a vedere tutto ciò coi vostri occhi. Quanto vorrei potervi avere accanto in questa esperienza.
JJ
3 commenti:
Grande Paolo!!
Dici cose sempre più belle e più vere..Stai facendo un cammino che ti sta facendo crescere tantissimo, un cammino che ti sta permettendo di vedere da vicino quel mondo straordinario che noi ricchi e normododati non vediamo.Questo mondo è quello della povertà, della disabilità..il mondo del disagio ma allo stesso tempo il mondo della ricchezza e della felicità.Niente è più bello che vedere un bambino povero o disabile che ti sorride..
Caro Paolo ti capisco bene..
L'assurdità del nostro tempo sta nel fatto che cerchiamo la felicità nelle discoteche, nello sballo,nei soldi, nella fama(e difatti i nostri idoli sono quelli del cinema o della televisione)..cerchiamo la felicità in tutto questo..dimenticandoci o meglio senza vedere e capire che la vera felicità sta dietro l'angolo, in quel mondo povero e di disagio da cui vediamo bene di avere a che fare..
Grande Paolo, continua così, con questa esperienza e con i tuoi racconti..e grazie perchè grazie a te stiamo camminando anche noi verso quello che conta veramente nella vita..
Un abbraccio
altro post pregio, bella!!
Thanks for writing this.
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