Cari amici,
scusate l'attesa; sono vivo e sto bene, mi ero promesso di scrivervi molto prima ma qui il tempo vola davvero, c'è sempre qualcosa da fare e mi rendo conto che alla fine chi ci rimette siete voi che vivete di riflesso questa mia avventura. Ieri sera ho salutato Yaounde con il dispiacere di quando si torna a casa dopo le vacanze estive, quando in due settimane ti sei affezionato tanto a persone, luoghi, abitudini che ti sembra siano parte della tua vita da sempre, ma poi sei obbligato a capire che quei volti e quelle immagini non sono stati altro che il contenuto di una bella parentesi nell'economia di un lungo romanzo. Punto e virgola. Si riparte.
Le mie due settimane a Yaounde sono state intense; è una metropoli caotica ma estremamente viva: la polvere rossa che si leva con il minimo accenno di vento accompagna i gesti, le danze, le bagarre di migliaia di camerunesi che ogni giorno popolano le strade, dal centro, multietnico e occidentalizzato, ai quartieri dimenticati, dove capita di trovare bambini d uno o due anni che non hanno mai visto un bianco (di bianchi ce n'è tanti ma evidentemente in certi luoghi non ci passano).
Forse mi ha conquistato perché è simile alla mia Milano, anche se più esasperata ed invadente.
Yaounde è una città dove tutto è più prepotente.
Yaounde sono i taxi gialli che per 200 franchi ti portano ovunque e che si riempiono fino a che non trovi la gente seduta sul freno a mano, yaounde è il rumore dei clacson, le fiumane di persone, le parate militari, yaounde sono le galline che cercano di sfuggire dalle borse dove sono state appena infilate assieme ai pomodori e a un sacchettino di riso per il pranzo della domenica, yaounde sono i mercati infiniti, l'odore di pesce essiccato e i colori delle spezie, yaounde è l'hilton che guarda dalle sue finestre finemente illuminate il "palazzo della morte", di giorno costruzione fatiscente di cui si nota solo l'enorme scritta votez Paul Biya in bomboletta nera, di notte dimora senza leggi dei ragazzi di strada.
Yaounde sono la birra 33 express e la castel, le magliette di etò fils indossate con fierezza da adulti e ragazzini, yaounde sono le donne impegnate a pettinare sorelle, figlie e amiche, in strada, a qualsiasi ora della giornata.
Yaounde sono i campi da calcio inventati in qualsiasi spazio aperto e affollati dall'alba al tramonto.
Yaounde sono le botteghe sintonizzate su canal plus.
Yaounde sono le chiese, le sette, i ritrovi religiosi, l'associazionismo delle tontines.
Yaounde sono le ambasciate, i ristoranti italiani, i centri culturali, la voglia di emergere.
Ma Yaounde è soprattutto la capitale di uno stato africano dove domina la contraddizione.
Difficile farci un'idea da su; difficile anche per me. Tina mi ha raccontato di un prete italiano a cui erano stati donati dalla sua chiesa un milione e mezzo di lire per la sua missione in Cameroun e alla domanda di due parrocchiani "Padre, dipendesse solo da lei, come impiegherebbe questi soldi?" questi aveva risposto "Vi pagherei il biglietto aereo perché possiate scendere giù a vedere le cose coi vostri occhi". Da noi domina ancora troppa mala-informazione (o comunque informazione ridotta) e appena sentiamo la parola Africa il nostro cervello la associa alle pance gonfie dei bambini, alla povertà, ai tamburi, alla gente pitturata. E già inconsciamente ci poniamo in una situazione di superiorità. Nella nostra testa proprio non riusciamo a vedere un Africa che cammina.
Qui non passa un giorno intero senza che almeno una persona ti abbia rivolto la fatidica implorazione "mon ami amene moi en Italie avec toi" (amico, portami in Italia con te). Poi dell'Italia cosa sanno?cosa hanno visto?Assolutamente nulla. Ti rispondono che da noi si sta bene ed è bello. Un'analisi un po'circoscritta per l'eldorado.
Perché nell'ultima mail vi scrivevo che la colpa è un po'nostra e un po'loro? E' nostra (in quanto occidentali) perché abbiamo depredato il continente e continuiamo a farlo, e non contenti veniamo giù con la nostra moneta forte - molti membri di ong, ricercatori, cooperanti, missionari, volontari in servizio civile, sono pagati in euro nei nostri paesi quindi giù possono fare una vita da nababbi; spiccano le scelte delle persone che vivono autentiche esperienze di condivisione. anche della moneta – e senza comprendere di quanto sia traslato il contesto culturale, spendiamo e spandiamo, regaliamo soldi, facciamo elemosina non appena la nostra compassione sia stata un minimo stuzzicata. Risultato: i bambini che ti urlano continuamente cadeaux, cadeaux (regali, regali), l'impossibilità di relazionarsi alla pari con un coetaneo perché questo sa che tu hai di più e dunque ti chiederà sempre (non è un rapporto di amicizia perché siamo affini, ma perché io da te posso ottenere qualcosa), gente che si inventa sorelle nonne, figli malati perché poi il bianco senza indagare si emoziona, si fida ed elargisce.
Ma i camerunesi non sono certo esenti da colpe: innanzitutto la gente lavora poco; un po'perché il lavoro manca e un po'perché non ci si impegna per cercarlo o crearne. Anche quei pochi progetti di bianchi intenzionati a mettere su un impresa con personale locale per insegnare un attività e creare lavoro, alla fine tramontano perché dopo tre giorni è sparito un trapano, dopo quattro già dieci dipendenti ti hanno chiesto un prestito, la gente viene al lavoro un giorno si uno no.
Andando in giro si percepisce uno stato diffuso di arretratezza ma pochi sforzi per uscirne (non nessuno, pochi). Il problema del Cameroun non è certo la povertà. Sono più che altro l'acqua, l'educazione e la sanità. Problemi correlati tra loro. Qualche esempio? Al vertice della lista delle cause di morte nel paese ci sono malaria, aids, ed incidenti stradali (in quest'ordine).
L'ultimo non è neanche il caso di analizzarlo: se vai a 200 all'ora e ti schianti sei un idiota. Tanto in Italia quanto in Cameroun (e non si citi l'attenuante della condizione delle strade, se vai a duecento all'ora su una strada dissestata sei idiota due volte).
L'aids uccide in Cameroun come in pochi altri paesi del mondo (è seconda al Sudafrica con altri paesi africani). I soldi per comprare i preservativi non mancano a nessuno, utilizzarlo o meno è una scelta. Che la malattia si diffonda per via sessuale in qualche villaggio forse ancora non lo sanno, a Yaounde lo sanno pure i muri. Ma qui la testa ti dice sempre che tu devi avere un ritorno personale ed immediato, in tutto. Applicatelo alla sfera del piacere e vi spiegate il 9,9% di sieropositivi nella capitale.
La malaria è il caso più complesso. Il ragionamento da fare è questo: per curarla, come per curare altre malattie il governo e le famiglie spendono una valanga di soldi. Le ong fanno sensibilizzazione nei quartieri dicendo che per evitarla, per evitare la febbre tifoide, la verminosi e l'ebola bisogna stare attenti all'acqua putrida e infetta (per la malaria nel non averla vicino poiché attira le zanzare, per le altre tre nel non berla né mangiare cose che siano state immerse in acqua malsana), non considerando che sono poche le persone che hanno in casa l'acqua corrente e ancora meno ad averla filtrata, depurata ionizzata e salinizzata. E ovunque fogne a cielo aperto, acquitrini, rigagnoli di acqua nera che scorrono in mezzo alle case. Perché lo stato i soldi che spende nelle cure e nella sensibilizzazione non li investe per costruire almeno nella capitale una rete fognaria di rispetto?Forse perché in questa maniera gli arrivano soldi dalle organizzazioni internazionali che poi può rigirare a proprio piacimento senza renderne conto -e spesso, quindi, per rimpinguare nuovamente le casse occidentali?Forse perché i progetti di lungo periodo non sono neanche contemplati – come ultimamente da noi del resto – perché non danno risultati nell'immediato?Forse perché i progetti si scontrano con una burocrazia lenta, con mille permessi ed autorizzazioni nonché con un pizzo da pagare a qualsiasi funzionario cui tu rivolga la parola?Io una risposta al momento non ve la so fornire. Voi documentatevi, pensate, dibattete, stimolate, contradditemi.
Tutto questo ve lo scrivo dal mio letto a Mbalmayo. Mi mancherà molto la comunità del CASS: Tina, Chiara, AnneMarie. In casa con loro c'era proprio un bel clima impreziosito da piacevoli chiacchierate e lunghi dibattiti su quello che ognuno, (chi è qua da tanti anni e chi è appena arrivato) vede, apprezza o non capisce di questo paese.
In queste due settimane sono stato accolto dai ragazzini del calcio nonostante la mia caviglia dolorante, ed è stato davvero bello conoscerli, conoscere il loro modo di giocare, condividere gli allenamenti, partecipare alle sfide, risolvere assieme i problemi.
Ho osservato i ragazzi della danza ballare e il gruppo di percussioni suonare e sono rimasto sorpreso dal talento di alcuni di loro e dai pomeriggi passati instancabilmente a provare, a improvvisare, a giocare col corpo e col ritmo in modo magistrale.
Ho parlato coi più piccoli, così curiosi, con un autonomia sorprendente, spesso in cerca di un abbraccio o di una mano, di un po'd'attenzione, in sintesi di affetto, che probabilmente in casa non sempre è dato.
Ho conosciuto gli animatori, preparati e determinati (non sempre presenti e coordinati), ho imparato ad apprezzare i loro metodi di lavoro e la loro passione. Ho visitato le altre strutture del centro, mi sono fatto un idea di cosa fanno e come lavorano.
Tra i momenti più forti ricordo le visite in quartiere: un occasione per uscire e cercare di dare testimonianza tra gli ultimi con la nostra presenza; la presenza di bianchi che non sono qui né per dare né per insegnare, ma solo per ascoltare. Con la voglia di capire.
Mi porterò dietro il sorriso di Lela e gli scherzi di Georgette.
La voglia di Moise di imparare a suonare la chitarra.
L'estro calcistico di Alexi e Sussa.
Le prime parole di Gaetana
Le magie e le bugie di Anjo.
La bella voce di Junior.
Il faccione di Aisha.
Dani ed Ezechiel.
Ora parto con una valigia in più: un bagaglio di ricordi positivi che mi porterò dietro lungo il cammino.
Con grande affetto
JJ
p.s. de andrè diceva che dal letame nascono i fiori. guardate questo fiore nato qualcha anno fa in una capanna di fango, dove vive ancora
giovedì 18 gennaio 2007
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6 commenti:
Paolo,
ti ho ripreso tante volte sui testi delle nostre canzoni dicendo che secondo me non erano abbastanza poetici...
Paolo, con questa spendida mail hai dato alla luce una poesia unica per dolcezza e profondità..Io ne ho scritte tante di poesie ma una così bella non l'ho mai scritta!!
Mi hai commosso..
Paolo, sta succedendo qualcosa di magico: con queste mail e con i tuoi racconti stai facendo vedere e vivere anche a noi questa parte di mondo che per nostra ignoranza e pigrizia non abbiamo mai conosciuto..
Paolo, hai tutta la mia ammirazione (non nascondo anche un pò di invidia)...sono orgoglioso di te!
Continua così perchè grazie a te stiamo "crescendo" un pò anche tutti noi!!
Ciao fratellino.
Gabri
che bella mail paul..
è un onore curare questo Blog ;)
ma ancora ti fa male la caviglia?
falla vedere ad uno shamano..
aspetto nuovi filmati..i primi 3 han già battuto i miei su youtube ;)
post bellissimo e assai interessante, a me non interessa il lato "poetico" della cosa, la i contenuti, e i contenuti rullano. gg.
è un fiore stupendo!
Eh sì,i tuoi resoconti stanno facendo appassionare pure la mia famiglia,che ora mi sta azzeccata nell'attesa di leggere tue mail.......e c'hanno raGGione,dato che i tuoi messaggi sono sempre mirabilmente toccanti,anche se esaustivi quanto a descrizioni,impressioni,riflessioni!
Stai andando alla grande,fratello,occhio a non prenderci troppo l'abitudine,che ti rivogliamo :D
in fede
Franky Pietanza
Paolo, adesso esco, prendo l'aereo e vengo lì.... che bello. Non so raccontare di quanto vorrei vivere di persona le cose che dici, e tu sai quale sia la fiamma che ti spinge fin là... forse la mia fiamma non è ancora abbastanza forte, forse io non sono abbastanza grande, ma a leggerti racimolo coraggio e speranze per la vita che voglio fare. Sono certa che capisci.
Mia madre fa una proposta per modificare lo stereotipo che si ha dei posti: smetterla di chiamarli "giù" e "su". Alla fine è da creduloni pensare che noi siamo "su", e come molti altri modi di dire, non è che un velo stereotipante, per quanto leggero. Siamo pieni di questi veli che ci appannano gli occhi, come se Kant avesse gli occhiali sporchi.
E poi mi chiedo: può essere che in Africa i progetti siano un po' "miopi" e senza pretese a lungo termine anche per un motivo di lunghezza e qualità media della vita? Quanto si vive in media in Africa? (Io questo non lo so). E come si vive? Se io avessi una breve e fetente prospettiva di vita, probabilmente farei un mucchio di cose stupide solo perché mi danno la certezza di un piacere immediato.
Quanto al sesso. Che io sappia (l'ho letto riguardo a Nairobi, nei libri di Padre Zanotelli) nelle grandi metropoli il sesso ha soprattutto il significato di "prostituzione". Se hai seriamente da guadagnarti il pane, e la concorrenza è fitta, probabilmente non userai il preservativo, perché non piace alla clientela. A livelli meno endemici succede anche in Italia!
Bacioni, Paolo, un pochino sono lì anch'io...
PS: ti ho spedito una mail col mio indirizzo mail esatto...
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