giovedì 25 ottobre 2007
25/10/07 - da quasi un mese nella capitale mondiale della moda
sono da quasi un mese nella capitale mondiale della moda, che per i primi giorni ho vissuto da turista meravigliandomi di quanto sia buono il cibo, quanto vecchia la popolazione e quanto ordinata la vita. Il salto da Garoua a Milano è esagerato. Non nego che tornare dopo 9 mesi d’africa e sbarcare qui, sia altamente disorientante.
Ovviamente è bellissimo farsi coccolare da famiglia e fidanzata, ritrovare gli amici, la musica, una città con così tante opportunità...ma è a anche vero che in un nanosecondo ci si accorge di come le opportunità siano troppe, di come il privilegio di poter scegliere sia in realtà un illusione, e di come questa società sia studiata apposta perché non si possa non cadere tra le braccia della subdola ma affascinante sirena che ogni giorno ti invita ad essere qualcuno che non sei.
Vorrei condividere con voi questo passo di un libro che avevo già citato in precedenza su questo sito, ovvero Il banchiere dei poveri di Muhammad Yunus.
Siamo a cavallo tra gli anni sessanta e settanta ed il premio Nobel, appena approdato dal Bangaladesh in una delle più rinomate università statunitensi, incappa in un pranzo con gli amici americani, incarnando con questa scena farsesca le difficoltà di uno straniero davanti ad un insolita possibilità di scelta.
Un giorno Cheryl mi domandò:
“Come le vuoi le uova?”
“Cosa intende? Non capisco la domanda…”
“Le vuoi al tegamino, strapazzate, sode in camicia, o vuoi una frittata...”
“Al tegamino.”
“Va bene, e come te le faccio?”
“Gliel’ho appena detto…al tegamino.”
“Si, ma col rosso in alto o rivoltate?”
“Non ha importanza.”
A quel punto i miei amici si erano fatti attorno per consigliarmi, ridendo della mia sprovvedutezza e cercando di spiegare a Cheryl che noi bengalesi eravamo diversi.
“Allora col rosso in alto,” dissi alla fine, imbarazzato per la mia indecisione e consapevole del fatto che stavo dando spettacolo.
“Morbide o ben cotte?”
“Come le sembra meglio.”
“Con il pane, le cialde o le fette tostate?”
”Mi va bene qualsiasi cosa.”
“E per contorno cosa desideri: patate fritte, purè o crocchette di patate?”
Per un po’penai che lo facesse apposta per rendermi ancora più ridicolo di fronte agli altri. Ma poi capii che l’America era quella: la possibilità di scegliere tra una gamma infinita di cose.
Ecco, quell’America del ’68 per un bengalese, somiglia tantissima a quest’Italia d’oggi per me.
Non che un anno fa fosse diversa ma probabilmente una parentesi anche non lunga in un luogo in cui lo stile di vita è così diverso, contribuisce a farmi stupire di alcune facce di una realtà che credevo di conoscere e che invece mi risulta così curiosa dopo nove mesi di cameroun.
Mi trovo disorientato.
Probabilmente sono alla domanda “Con il pane, le cialde o le fette tostate?” e poi anch’io stremato dovrò rispondere forse rassegnato che mi va bene qualunque cosa.
Non per ripudiare una conquista sociale che va a vantaggio dei tanti che, buon per loro, sono capaci di districarsi in questo marasma di possibilità, ma la prima impressione di un espatriato che si imbatte nuovamente nel suo vecchio mondo è che forse c’abbiamo un po’calcato la mano.
Con un universo rigurgitante di colori ancora fresco negli occhi vi saluto regalandovi (nel prossimo post) un nostalgico souvenir di una delle esperienze più divertenti degli ultimi giorni passati a Garoua: la realizzazione del video di “Ide mada odo Sakli am”, che abbiamo appena finito di montare e che ora è a disposizione del grande pubblico.
Con affetto
jj escalante
domenica 30 settembre 2007
29-09-07 - una notte e 4000 Km mi separano da casa
una notte e 4000 km mi separano da casa: domani a quest'ora sarò già avvolto nel familiare caos dell'insonne e rumorosa Milano, col cuore in gola probabilmente e ansioso di riprendermi quello che per questi lunghi mesi ho lasciato.
Erano esattamente nove mesi fa, ero nello stesso posto alla stessa ora. Quella volta Nsimalen puzzava di nuovo e io ero straniero. Oggi sono sempre straniero ma l'aeroporto non puzza più.
Caro jj, come back to what you know. Il tuo mondo ti accoglie affamato di storie e tu gliele darai. Per un po' farà male e ti sentirai più straniero che a Nsimalen ma cederai alla voglia di racconti esotici fatti di stregoni col granchio, di scimmie di Amougou e di ragazzi senza casa. Ti dimenticherai dei discorsi sull'assenza di tensione professionale, sul progredire senza cedere all'occidentalizzazione e sull'evoluzionismo antropologico. Te ne dimenticherai proprio perché questa volta parti per un mondo che tu conosci e che sai cosa vuole.
Una volta tornato chiuderò la porta della camera in Cameroun, questo spazio infinito che ha permesso a tanti di sognare. Chissà, forse la finestra si aprirà domani sulle pampas o sugli ignoti deserti diffonici della Mongolia Quel che è sicuro è che per un po'si affaccerà sulla meno curiosa ma non meno meritevole via Tadino, con le sue persone e i suoi racconti.
E' difficile dire cosa mi mancherà, la lista sarebbe infinita ma sono tante anche le cose che mi sono mancate, tante davvero.
E' difficile mettere un punto ad una storia così, ma è bello sapere di poter cominciare la prossima con la lettera maiuscola.
E' difficile selezionare i momenti più belli, ma ci sono alcune immagini che neanche il tempo potrà cancellare.
Non mi scorderò del penultimo viaggio in treno per Yaounde quando cominciando a intravedere il saliscendi dei quartieri periferici il mio compagno di stanza esclamò con entusiasmo"benvenuto nella città dai sette colli!" E della sorpresa presto ricambiata quando gli dissi che di città dai sette colli ne esisteva una anche da me. Ci siamo messi a ridere pensando a quanto siamo chiusi nei nostri piccoli universi.
Nessuno mi porterà via il senso di incomprensione e di maledetta impotenza davanti alle parole di una mamma che confessava con disarmante onestà di ricorrere sovente ad una catena di ferro per impedire al suo bambino (di sei anni) di scappare continuamente da casa.
Non mi dimenticherò mai di quella bambina che, un giorno che camminavo tranquillo in quartiere, corse verso di me e con due occhi esitanti e sospettosi mi chiese
"Est-ce que tu es vraiment blanc?". Da allora mi è capitato più volte desiderare di addormentarmi e risvegliarmi nero, perché ci sono delle cose di questo mondo che da bianchi è pretenzioso sperare di capire.
Dell'Africa non è possibile lavarsi una volta tornati a casa e anche se la mia Africa non è vittima di guerre né muore di fame, non per questo il ricordo di certi vissuti sarà meno rovente.
Non basteranno certo quei quattro batik appesi al muro a rendere il reinserimento più facile, nè le lettere, né le fotografie, né i cd dei Faadah Kautal, ma sono contento di rivedervi e di potervi raccontare una volta di più tutto questo cammino.
jj escalante
martedì 28 agosto 2007
28-08-07 Cari compagni di viaggio
vi immagino ancora su spiagge dorate intenti a perfezionare l'immancabile tintarella estiva da sfoggiare ad amici e parenti al ritorno dalle ferie. Io quest'anno sarò sotto quest'aspetto molto deludente, l'Africa non ha dato alla mia pelle quel colore cioccolato che tutti si aspetterebbero dopo nove mesi di sole equatoriale, ma in compenso ha saputo lasciare sul mio corpo un segno ben più esclusivo. L'ultimo battesimo a questa terra è stata infatti una malaria che mi ha bloccato per qualche giorno ma che per fortuna non ha lasciato troppi strascichi, se non un esagerato stato di spossatezza che ho combattuto mangiando senza limiti e drogandomi di polase e fermenti lattici durante tutta la convalescenza.
So quanta paura possa incutere questa malattia in noi, che ci nutriamo di statistiche e inghiottiamo qualsiasi verità mediatica, in realtà qui il paludisme (questo il nome francese) è solo una forte influenza curabile facilmente se presa in tempo. La prevenzione rimane sempre la via preferenziale per evitare di incapparvici ma è anche vero che una terapia prolungata può risultare più dannosa per l'organismo che la contrazione della malattia stessa. In ogni modo mi son fatto una settimana di letto senza la forza per fare nulla , mi sparavo gran puntate di destins croisées (una telenovela venezuelana ignorantissima), flebo, mille pastiglie e pisolini a ripetizione, aspettando di riprendermi. D'altro canto devo dire che se il palu ti colpisce quando il corpo è fragile, io gli ho spianato il terreno perché la settimana dell'inaugurazione del Murales di fatica ne ho accumulata tanta, ed è bastato un giorno di sedimentazione perché la febbre salisse fino a quarantuno trasformandomi in uno straccio. E'un'esperienza che non auguro certo a nessuno ma resterà una di quelle cose da raccontare un giorno ai nipotini, come mio nonno aveva fatto con me, solo che lui la malaria, in guerra, l'aveva curata coi fichi.
En tout cas, è valsa la pena di faticare perché il 14 Luglio abbiamo fatto un regalo ai cugini francesi inaugurando nel giorno della loro festa nazionale un piccolo capolavoro d'arte concettuale.
La pittura murale della MJC, intitolata Faadah Meden, è stata contemplata e osannata da tanti, che ne hanno rimarcato i tratti quasi caravaggistici, si parva licet.
In quanto coordinatore del progetto devo dire che tutto il lavoro è stato molto bello, difficile, ma stimolante. Siamo riusciti a rispettare le tappe e gli obiettivi che ci eravamo posti anche se nell'ultima fase la mano degli artisti ha prevalso nettamente su quella dei bambini. Purtroppo in questo paese il fatto che una cosa sia vistosa e magnificente, soprattutto agli occhi delle autorità, è superiore a tutto, e lottare con questa mentalità è stata forse la sfida più grande. C'è stato comunque un buon ponte tra il lavoro degli amatori e quello dei professionisti, il Murales di staglia come un imponente totem identitario al centro della struttura e le coppie di sposi già vengono a scattare le loro pose ricordo davanti all'opera…
Con la conclusione di questa attività, e passata la malaria, le mie giornate hanno guadagnato tempo, che ho impiegato sia nell'animazione coi bambini di quartiere sia nelle ultime uscite con gli "Eben Ivoire". Per quanto riguarda quest'ultimi è ovvio che andando via il collante bianco le probabilità che il gruppo continui con la stessa costanza si abbassano notevolmente ma il collettivo è determinato e soprattutto sembra aver capito che non serve che un po' di impegno per riuscire ad ottenere dei buoni risultati. La presenza di un leader e l'entusiasmo di questi mesi possono essere le carte vincenti per ripartire l'anno prossimo col piede giusto e guadagnarsi un angolino nel panorama musicale della città, ma soprattutto per essere una risorsa della struttura e un esempio per le nuove generazioni di giovani "artisti" cresciuti nella culla della MJC.
A livello musicale è stata molto positiva anche la collaborazione con l'Alliance Franco Camerunese, culminata in una serata all'insegna del melange dei costumi .
Lo scambio tra le due strutture (MJC e quest'ultima), diverse per ispirazione e programmi, sorelle nella missione di educare un pubblico impreparato verso un' indispensabile emancipazione culturale, deve essere un punto fermo nelle politiche bilaterali dell'immediato futuro.
L'Africa è in un delicato momento storico nel quale è in atto l'evoluzione di paesi che non devono abbandonare la tradizione, adattandosi al modernismo. In Cameroun, la colonizzazione, in particolare quella francese, ha imposto i suoi clichés distruggendo lo spirito d'iniziativa e soffocando i costumi locali, a parte qualche caso in cui ha saputo abilmente trasformare i capi tradizionali in funzionari amministrativi della macchina statale.
Sin dalla scuola elementare i bambini sono abituati a copiare e ripetere senza coltivare un senso critico tanto che nascono generazioni di uomini altamente burocratizzati piegati ad un sistema che non condividono ma che sono incapaci di contrastare
Si respira in ogni campo un assenza di evoluzione, una stagnazione che lascia sconcertati. E'come se un intera popolazione fosse allergica al cambiamento. L'apparato politico è fermo da 23 anni, ed è impregnato nella corruzione a livelli scandalosi, l'investimento nella formazione continua a essere bassissimo per non parlare della carenza di infrastrutture che impedisce al turismo di fare quel salto che un paese di una tale bellezza meriterebbe.
Le elezioni amministrative sono stato un caso emblematico, ancora una volta il partito al governo ha dominato pressoché ovunque non solo per mancanza di alternative ma perché ha le tasche più gonfie di chiunque altro ed ha quindi saputo convincere bene le classi più povere. Sono passati più di vent'anni da quando a Ouagadogou si sentì dire "L'onestà è buona cosa ma non si mangia" , ma il mondo non sembra essere cambiato: di fronte ai soldi l'uomo è pronto a chiudere non uno ma entrambi gli occhi.
Io non penso che questi problemi siano tipici solo del contesto africano, sono questioni nate in casa nostra che i governi post-indipendentisti hanno ereditato e assimilato, e che qui appaiono ancora più accentuate (come tutto del resto).
Il grosso problema è che questi popoli si sono abituati (sono stati abituati?) a copiare tutto ciò che viene dal bianco, il quale accusando l'intera cultura africana di arcaismo, ha condizionato un processo evolutivo, e di adattamento al modernismo, che forse avrebbe dovuto essere più lento e naturale.
Parlo di indispensabile emancipazione culturale per un pubblico impreparato perché nonostante la ricchissima produzione artistica che contraddistingue il Cameroun, oggigiorno la soggiogazione alle mode occidentali e l'ossessione di copiare gli stili dei bianchi, soprattutto ciò che di più kitsch esiste nel nostro mondo, sta facendo dimenticare ai più giovani l'importanza della continuazione del percorso artistico del proprio paese. Se valorizzata, la fusione tra tradizione e modernismo può essere un importante strumento di coesione identitaria, oltre ad essere la prova di forza di una cultura, che importa ciò che apprezza, ma che non si piega ai costumi stranieri. Vi giuro che guardando la televisione, i film, i video musicali, le pubblicità stupisce più che il digital divide di cui tanto si parla un taste divide che tira sassate ad un senso estetico che non pretendo di definire oggettivo ma che è lontano dal gusto diciamo…generale.
Non mi stancherò di dire che l'Africa che sto conoscendo io è un Africa che ha bisogno di educazione, di supporto tecnico, di valorizzazione, e non di quel pietismo con cui ancora siamo troppo abituati a guardarla.
Intanto è arrivata l'altra metà della mia famiglia dall'Italia e con loro ho salutato Garoua, come si saluterebbe un amico che si ha la certezza di rivedere, con una pacca sulla spalla e un in bocca al lupo per il futuro.
I ragazzi di strada ci hanno fatto una gran festa, quelli del gruppo musicale sono addirittura venuti la mattina della partenza e così, con le lacrime agli occhi pur sapendo di tornare, ho dato l'arrivederci da un bus della touristique voyages a grandi compagni di avventure e ad una città non priva di contraddizioni che mi ha regalato tante emozioni.
Grazie a chi ha sentito il desiderio di entrare nella camera in Cameroun, camminando al mio fianco, aiutandomi a confrontarmi e a capire delle sfumature di questo mondo che da solo non avrei colto. Ci vediamo tra pochissimo.
JJ escalante
giovedì 16 agosto 2007
Les Oiseaux
C’est l’histoire des enfants africains de chez nous
qui célèbrent aujourd’hui leur fête
et veulent aussi réclamer leurs droits
Ils demandent aussi qu’on leur donne la joie de vivre
Il demandent aussi qu’on soit avec eux
Ils ont besoin d’amour ils ont besoin de vivre comme tous les enfants
Que je les aime, que j’aime le temps quand ils s’envolent
Que je les aime, que j’aime le temps quand ils s’envolent
A vous parents en ce jour ci
Ces enfants célèbrent leur fête
Ils demandent que vous lanciez en coup d’oeil
Pour essayer de réussir leur vie
Ils ont le droit a l’éducation
Ils ont aussi le droit a vivre
Donne leur le goût de vouloir vivre aussi
Comme tous les enfants de ce monde
Ils ont le droit a rester auprès de vous et non dans la rue
E’ la storia dei nostri ragazzi africani
Che celebrano oggi la loro festa
E vogliono soprattutto reclamare i loro diritti
Chiedono che gli sia donata la gioia di vivere
E ci chiedono di stare con loro
Hanno bisogno d’amore hanno bisogno di vivere come tutti i ragazzi
Perchè li amo, perchè amo il momento in cui spiccano il volo
A voi genitori in questo giorno
Questi ragazzi celebrano la loro festa
Chiedono di essere considerati
Per cercare di realizzarsi nella vita
Hanno diritto all’educazione e diritto a vivere
Incoraggiamoli a vivere
Come tutti i ragazzi del mondo
Hanno il diritto di restare vicino a voi e non sulla strada.
martedì 10 luglio 2007
ide mada odo sakkli am
You caught me in a warm black night
just like those pit-a-pat dreams that pass sometimes
there had to be something attractive in you
perhaps the spotless charm of the things so pure
wake up my dormant desires
and I will try to leave you a trace of mine
waiting for the rain to come
singin'ide ma-da odo sakkli am
ide mada odo sakkli am
To nangue urti mii taratha do
To djemma nasti nda mi danata do
Mi anda nangue mi anda doydi
Fatima yel am warle yetcham lee
Fatime ande mindo yetcham lee
To djamni ha mi hepta hiide mada
Ngabani do koko andu mi
Ide mada odo sakkli am
Fatima fatimatu yetcham lee
To djamni ha mi hepta hiide mada
Ngabani do walla ko mbaumi ga mi
Ide mada odo sakkli am
...
Col tuo amore mi hai fatto perdere la testa
Mi hai preso in una notte calda e scura
Proprio come quei sogni batticuore che capitano ogni tanto
Ci doveva essere qualcosa di attraente in te
Forse il fascino immacolato delle cose cosi’ pure
Sveglia i miei desideri sopiti e cerchero’ di lasciarti una parte di me
Aspettando che arrivi la pioggia, cantando
Ide mada odo sakkli am
Se il sole se ne va non posso camminare
Quando arriva la notte non riesco a domire
Non conosco giorno non conosco sonno
La mia Fatima viene a dirmi
Fatima oggi te lo sto dicendo
E se è possibile, che io conosca il tuo amore
Perchè così io non conosco nulla
Col tuo amore mi hai fatto perdere la testa
Fatima, mia piccola Fatima dimmelo
E se è possibile che io conosca il tuo amore
Perchè così non ho capito nulla
Col tuo amore mi hai fatto perdere la testa
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09-07-07 Carissimi amici
non sarà facile scrivervi dopo così tanto tempo ma i ricordi, i volti e le voci sono ormai troppi e troppo forti. Mi farò aiutare da un sano blues e dal piacevole venticello che stasera prevale persino sulla fittissima zanzariera avvolgendo la mia stanza di un'insolita frescura. L'ispirazione potrebbe essere turbata soltanto dalle moustiques che nonostante le barriere trovano dei pertugi per entrare e ronzarmi nell'orecchio senza pace, e dalla caotica celebrazione di un deuil che sospetto fortemente andrà avanti fino all'alba.
Come si dice da queste parti, on va faire avec.
I mesi passano veloci ed eccomi già a luglio. L'Africa ti mangia, ti consuma, ti risucchia nel suo abisso senza tempo. In questo solo continente al mondo le lancette girano e pagine di calendari se ne vanno senza che ce ne se possa rendere conto; paradossale che questa sensazione sia così forte in un luogo dove le agende sono così povere di impegni e dove le giornate scorrono all'ombra di un nymie aspettando che qualcuno o qualcosa rompano la patina atrofizzante che avvolge la maggior parte delle persone. La verità è che qui il futuro è un concetto talmente aleatorio che nella testa della gente ogni giorno nasce e muore con se stesso, la prospettiva non guarda mai al domani, ed il tempo appare come monco del suo elemento più distintivo, la continuità.
I miei genitori e la mia sorellina sono venuti a trovarmi a Garoua. Un grande grazie a voi per aver deciso di spendere qui parte delle vostre vacanze, per aver sentito il desiderio di condividere con me questa esperienza e complimenti a tutti e tre per la capacità di adattamento. Mia mamma è sfuggita al serpente più pericoloso della zona che le è passato a fianco delle infradito, mio padre parlava in milanese-corso cercando consensi nei visi dubbiosi degli autoctoni, mia sorella ha dovuto vedersela con le innumerevoli proposte di matrimonio collezionate in meno di due settimane.
E il destino ha voluto che i miei arrivassero a Garoua il giorno in cui era stato programmato il viaggio di reinserimento familiare per i nostri ragazzi di strada. Così tutti mi prendevano in giro e dicevano che anch'io quello stesso giorno sarei stato reinserito in famiglia: non tornavo a casa come loro, ma era casa che veniva da me.
Intanto la stagione delle piogge sta entrando a pieno nel suo corso: il 20 maggio, festa nazionale del Cameroun, la grande parata cittadina di studenti e militari con tanto di inni parafascisti e gigantografie di sua eminenza Paul Biya, è stata bruscamente interrotta da un acquazzone allucinante (con un cielo alla donnie darko) che ha rovinato la manifestazione, ma non impedito ai manifestanti di raggrupparsi nei bar a scolarsi frizzanti 33 express brindando all'indipendenza del paese. Da allora ha piovuto quasi tutte le domeniche e ogni tanto durante la settimana.
Garoua vive di momenti corali. Quelli ordinari, come appunto il 20 mai, e quelli straordinari come l'arrivo dei lions indomptables in città. La notizia era nell'aria da tempo; vista l'indisponibilità dello stadio Omnisport di Yaounde, la nazionale avrebbe giocato qui una partita di qualificazione per la coppa d'Africa 2008 contro il Rwanda. Notizia confermata, esaltazione collettiva, e inizio della caccia al biglietto. Domenica 17 giugno, giorno atteso da una vita, le vie della città erano impraticabili e allo stadio, nel leggendario sciabà (il settore più caldo, in tutti i sensi) dalle undici del mattino la testa di un solitario nassara spiccava curiosamente tra tutte le altre. Cinque ore di attesa sotto un sole cocente, armato di panino con le sardine e succo Foster ho acclamato i Leoni, ho visto Ngandò (un obeso cosmico dipinto in verde rosso giallo che da anni è il supporter numero uno della squadra) ballare e il Cameroun vincere. Un sudaticcio vecchietto in canottiera mi ha abbracciato con gioia irrefrenabile a ciascuno dei due goal. E io ero l'uomo più felice del mondo.
Il lavoro procede. A Saare Djabbama, ho salutato i ragazzini prima della loro partenza con una serata a base di termiti in cui mi sono stato costretto a rispondere a tutte le domande che avevano sull'Italia. Impressionante sentire certe riflessioni da un bambino di dieci o dodici anni abituato a dormire in strada. In molti mi hanno stupito per l'acume e la pertinenza delle domande sull'ambiente, sulla famiglia e le abitudini, altri alzavano la mano solo per guadagnarsi un po'di considerazione e venivano fuori con perle del tipo: ci sono i sandali in Italia? ci sono le femmine in Italia? Avete le mucche?
Ora il nostro centro di accoglienza lavora a basso regime proprio perché privo di inquilini e anch'io passo molto meno tempo a Saare Djabbama. Per questa struttura la sfida dei prossimi anni è, a mio giudizio, quella di trovare una maggiore collaborazione con l'assistenza sociale pubblica. Il prezioso lavoro di ricupero che viene fatto su un bambino lungo tutto un anno rischia di essere inutile se nello stesso tempo non si fa un percorso serio con le famiglie di origine. Una volta reinserito, il bambino troverà la stessa situazione che ha evaso, e la possibilità che torni in strada sarà lì dietro l'angolo; non considerando che il lavoro di una ONG straniera non deve rimpiazzare quello di funzionari pubblici stipendiati che si siedono a giocare a carte sapendo che tanto ai ragazzi di strada ci pensano gli italiani. E' un passo tanto difficile quanto indispensabile per continuare a lavorare nell'ottica di una cooperazione che non sia volontariato eterno ma lascito di un eredità e di un modello professionale sfruttabile nel tempo dal personale locale.
Se il programma Enfants de la Rue sta prendendo un po'di respiro prima di ricominciare con un nuovo ciclo, la Maison des Jeunes è ancora in piena attività ed è qui che passo pressoché l'integrità delle mie giornate. Con i soldi delle vendite della prima produzione di borse siamo riusciti a ben finanziare il Murales, che dopo un lunghissimo lavoro sta giungendo alla sua fase finale, e con una parte del guadagno, sono stati comprati altri pagnes che sono già sotto forma di borse sulle bancarelle italiane. La ministra degli affari sociali è venuta in visita alla MJC e ha apprezzato molto il progetto "En chemin vers l'autonomie" facendosi fotografare con uno dei nostri grembiuli e incitandoci a continuare.
Per quanto riguarda il Murales, prima di cominciare gli schizzi sul muro abbiamo sensibilizzato gli animatori sull'importanza della comunicazione visuale con un corso di formazione intitolato "Anche i muri parlano" che è stato un percorso tematico dalle pitture rupestri a Keith Haring passando per i batik, abbiamo discusso e scelto il tema (Faadah Me-den: grandir ensemble), abbiamo fatto realizzare ai bambini i loro bozzetti, li abbiamo esposti e votati, ed eletto un vincitore che ora sta collaborando con gli artisti nella pittura su muro. Il 14 ci sarà l'inaugurazione e posso già rivelarvi che sta venendo fuori un bellissimo lavoro…
In ogni caso le soddisfazioni maggiori arrivano dall'esperienza con il neonato gruppo "Eban Ivoire", un' accozzaglia di disperati che hanno cominciato a cantare da meno di tre mesi ma che, con tante prove e con un esibizione caratteristica sono stati capaci di aggiudicarsi l'ambito Premio Cittadino della Musica. Noi abbiamo già festeggiato il trofeo a dovere, portandolo in girò per la città manco fosse la coppa del mondo, a voi regaliamo la possibilità di sentire il pezzo che ci ha portato alla vittoria.
A volte mi sento lo Zelig di Allen (questo in realtà succedeva anche a Milano) ma se è vero che l'osmosi mi sta rendendo un po'camerunese non dimentico nessuno di voi e non vedo l'ora di rivedervi fra un paio di mesi per raccontarvi a voce le mille avventure. Non sarà l'ombra di un baobab a fare da scenario per queste storie, ma cercherò di cantarvi su un divano o da un palco quest'Africa che sa prendere la pancia e il cuore.
domenica 1 luglio 2007
Borse e foto..
Il primo carico è stato esaurito in fretta, per informazioni sulle vendite contattatemi direttamente (jjescalante@gmail.com). Siamo anche interessati a fiere, feste e simili dove sia possibile venderle!
Infine ecco alcune foto inedite dal Cameroun..
venerdì 1 giugno 2007
My Serenade
When this lad of twenty two
he went looking for a moon
That could brighten more than your eyes
He left home and past behind
Filled his bag of chimeras
He started walking among the stars
But I hope you understand
by the footsteps on the sand
we're hand in hand
when the silence all around
makes a noise you cannot stand
and you get no way to hide
all the music you have inside
if you're listening to me
as you only could make it
wanna tell you that I'm sure
I will never find a moon
as bright as you
Wild serenades without no lover near
Feel a little nostalgia that grows in the heart
But I know you can hear me
can't erase the memory
When you made me taste the sea
That September how's it far
But you see now where we are
How much road under the feet
How much life we've still to live
and don't worry if you're confused
I can’t see a better cure
than stay with you
what I found I still don't know
but the will of painting again
kill the fears and wash the blames
I'm not able with the words
so accept this kind of song
it's the answer of a lad,
with a red nose in his sack,
who wants you back
...
Quando questo ragazzo di ventidue anni
partì a cercare una luna
Che potesse brillare più dei tuoi occhi
Ha lasciato dietro di sé la casa e il passato
Riempito il suo zaino di chimere,
Ha cominciato a camminare tra le stelle
Ma spero che tu capisca
Grazie alle orme sulle sabbia
Che stiamo camminando mano nella mano
Quando il silenzio tutt’intorno
Fa un rumore che non puoi sopportare
E non hai modo di nascondere
Tutta la musica che hai dentro
Se mi stai ascoltando in questo momento
Come solo tu potresti fare
Voglio dirti che sono certo
Che non troverò mai una luna
Che brilli quanto te
Strimpellare un gemito sulla mia vecchia chitarra
Serenate selvagge senza un’amante accanto
Sento una lieve nostalgia che cresce dentro
Ma so che tu puoi sentirmi
Non è possibile cancellare il ricordo
Di quando mi hai fatto assaggiare il mare
Quel settembre com’è lontano
Ma lo vedi dove siamo arrivati
Quanta strada sotto I piedi
Quanta vita da vivere ancora
E non ti preoccupare se sei confusa
Io non vedo una cura migliore
Che stare con te
Lo so che ho fatto I miei errori
Ancora non so cos’ho trovato
Ma la voglia di dipingere ancora
Uccida le paure e lavi I biasimi
Non sono bravo con le parole
Allora ti prego accetta questa specie di canzone
È la risposta di un ragazzo
Con un naso rosso nello zaino
Che ti rivuole con sé
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mercoledì 16 maggio 2007
16-05-07 a Djambotou
a Djambotou sono le otto e ventiquattro di un martedì mattina che non ha ancora regalato al cielo la consueta luce brillante. Sdraiato sul mio letto, con una mezza giornata di riposo, dopo tanti giorni senza notizie, vi invito ancora una volta a spiare questo mondo dalle tendine della mia camera in Cameroun (o "cameroom" come qualcuno ha cominciato a chiamarla) sapendo che queste parole che si snoderanno in mezzo a congegni capaci di far loro percorrere quattromila chilometri in qualche secondo avrei voluto dirvele a voce, tenendovi le mani e guardandovi negli occhi per riuscire a trasmettere il colore e il calore che questo posto è capace di regalare.
Un mese e qualche giorno, i cugini francesi abbracciano il loro nuovo presidente, il Bel paese nelle piazze incorona l'Inter campione d'Italia, e anche qui senza fare troppo rumore si vive e la gente continua a portare avanti le proprie sfide quotidiane.
In realtà un po'di avvenimenti meriterebbero la prima pagina. Innanzi tutto, piove. Dopo due mesi e mezzo di scene alla Tarantino per combattere il caldo infernale, un roboante temporale liberatorio ha restituito a Garoua la gioia dell'acqua: i miei ragazzi di strada hanno cominciato a lanciarsi nudi nelle pozzanghere del campo da basket della MJC , le mama danzavano fuori dalle botteghe ringraziando Allah per l'immenso regalo, nei bar si brinda al primo grande acquazzone dell'anno.
Io non vi nascondo che non avevo mai goduto così del profumo della pioggia.
Ma la cosa più incredibile è che sono bastati tre sporadici temporali per cambiare l'intero paesaggio: giorno dopo giorno si è cominciato a intravedere un manto verde rivestire i secchi campi di mais e manioca e in due settimane tutto ciò che era giallo ha preso un nuovo colore.
Sempre in prima pagina, a parte l'aereo della Kenya Airlines che è precipitato nella zona di Douala -notizia che è rimbalzata sulle vetrine dei telegiornali internazionali-, un altro paio di storie di cronaca urbana hanno segnato la vita di Garoua trasformandola in una sorta di Twin Peaks.
Qualche settimana fa i corpi senza vita di cinque ragazzi sono stati esposti al pubblico nello spiazzo di fronte alla gendarmeria: un segno di forza da parte del Corps d'Intervention Special (autorizzato all'esecuzione immediata) nei confronti dei coupers de route, banditi che, di notte, si nascondono ai bordi delle strade che tagliano la brousse per assaltare i viaggiatori e far preda di tutto ciò che trovano loro indosso. Un fenomeno che logora il Nord del Cameroun da una vita ma che si è intensificato sotto il governo Biya e che ora si è scelto di affrontare con la linea dura.
La seconda è una storia folle che da venerdì scorso è sulla bocca di tutti e che è diventata una vera e propria sindrome: gira voce che Garoua sia stata infestata dai vampiri e che ne abbiano arrestato uno (e che pagando 150 franchi ai poliziotti te lo facciano vedere). Allora, premesso che qui la fantasia popolare viaggia e crederebbero anche ai gremlins, vero è che la notizia è stata diffusa via radio e sembra che abbiano sul serio fermato un tizio che mordeva la gente per succhiarne il sangue…so che ora siete molto più tranquilli.
La città ha vissuto un altro importante momento collettivo il primo maggio: qui la festa dei lavoratori è molto sentita, la mattina una lunga sfilata permette a tutti coloro che hanno un impiego di passare nella via centrale, davanti a concittadini e autorità, con carri e cartelli inneggiando alla loro fortuna. Di norma il capo offre il pranzo ai dipendenti e litri di birra e musica ivoriana accompagnano i festeggiamenti fino a notte inoltrata.
Un altro momento di festa, con altro significato e altra celebrazione, l'abbiamo vissuto il 28 Aprile scorso all'inaugurazione del centro di accoglienza per ragazzi di strada denominato SAARE DJABBAAMA. Il centro, che non è un orfanotrofio ma una struttura di passaggio dove i bambini che hanno scelto di tornare in famiglia possono vivere un periodo di transizione, è già funzionale da un anno, ma ancora non c'era stata la pomposa cerimonia. Dopo i discorsi del responsabile della struttura, delle autorità politiche e religiose, i ragazzi hanno fatto sentire la loro voce, prima con la messa in scena di una piccola piece di teatro che rappresentava un quadro tipico della vita di strada, poi con l'esecuzione di un canto che avevamo scritto e preparato assieme che diceva tra le altre cose: autorités du Cameroun, qui gouvernez du nord au sud, aujourd'hui c'est notre jour, nous sommes les enfants du futur . La preparazione del canto è stata un'occasione per riflettere proprio sull'idea di futuro che per questi ragazzi, abituati a vivere alla giornata, non è spesso contemplata.
Se il programma ragazzi di strada (PEDR) è -ovviamente- un progetto a fondo perso, la Maison des Jeunes, in quanto centro non di intrattenimento ma di animazione e formazione, è una struttura che avrebbe le potenzialità per produrre e contribuire al finanziamento delle sue attività. Il problema è di mentalità, e non è possibile cambiarla dall'oggi al domani. Ma l'idea è che se una parte del budget annuale fosse investito in beni produttivi o nel finanziamento di corsi di formazione, puntando sulla qualità e sulla proposta sociale si smetterebbe di pensare che tutto è dovuto e che si sta in piedi solo perché ci sono le donazioni internazionali o i soldi di un ONG straniera. Il contesto è fondamentale per stabilire l'impostazione e gli obiettivi di una struttura e pensare che una "casa dei giovani" nel Nord del Cameroun, dove il lavoro manca e la povertà è diffusa, possa funzionare come un oratorio o un centro sociale e stare in piedi solo grazie al volontariato secondo me è un grave errore. A parte l'animazione coi più piccoli, indispensabile in un luogo dove manca qualsiasi proposta di aggregazione per i bambini, l'offerta per i ragazzi dovrebbe puntare più in alto e sfruttare le competenze per proporsi come una associazione che dà ai giovani delle possibilità e non solo il terreno per scambiare due chiacchiere. Anche il mio intervento col gruppo "promotion jeunes filles" si è volto in questo senso. Delle ragazze senza istruzione e senza lavoro abituate a frequentare passivamente un corso di cucito, cucina, tintura e peri-cultura (che loro stesse hanno pagato) per due settimane e mezzo si sono messe a lavorare sodo. Hanno prodotto borse, zainetti e grembiuli che da questo sabato saranno venduti in Italia. Il ricavato sarà tripartito: io mi riprenderò il capitale che ho speso per i tessuti, lo stesso capitale lo reinvesterà il gruppo per acquistare nuovi tessuti e continuare a produrre, una terza parte contribuirà a finanziare le spese per un murales che sarà fatto dai ragazzi della stessa MJC. Per le ragazze il mercato italiano non sarà infinito, ma intanto hanno cominciato a lavorare sulle stoffe e non sui rotoli di cartone, stanno facendo pratica e pian pianino sta entrando nella loro testa l'idea che hanno una capacità che può fruttare qualcosa, cominceranno a gestirsi da sole il loro piccolo capitale a valutare dove investirlo e perché.
Troppo spesso inciampiamo in facili sillogismi sull'Africa. Tra i più comuni quello di considerarlo un continente senza speranze che ha bisogno di macrosoluzioni ai suoi macroproblemi. Forse è un comodo alibi per tenercela lontana. Ma finché sarà così l'Africa continuerà a bussare alla nostra porta come un vicino fastidioso e invadente. L'Africa che sto conoscendo io - che non vive la guerra e le catastrofi naturali da tempo- è un'Africa che ha bisogno di educazione, di valorizzare il proprio lavoro, di consulenza per non fare investimenti sbagliati, di piccoli capitali per iniziare un'attività che deve essere seguita.
Non ha senso mettere dei grandi cestini di latta con la scritta "unione europea" nel quartiere più sporco di Garoua sperando che la gente dall'oggi al domani si riscopri ambientalista. I cestini spariranno dopo qualche giorno per essere rivenduti in pezzi in qualche mercato della zona.
Non ha senso costruire dei pozzi in un villaggio dove per secoli ne hanno fatto a meno, senza costituire un comitato di gestione, senza rendere gli abitanti partecipi della spesa perché sentano nelle loro tasche il peso dell'investimento e capiscano i benefici che questo tondo nella terra può offrire. Al primo guasto lasceranno stare il pozzo dei bianchi e continueranno a fare come per secoli hanno fatto.
Non ha senso mandare giù mezzi, soldi, oggetti, senza delle persone capaci di formare dei locali su come utilizzarli, su come sfruttarli. Lasciamo le donazioni a chi si occupa di emergenze, qui regalare a chi ha due braccia e una testa suona come un insulto. Ha senso promuovere le GIC (gruppi di interesse comune), l'associazionismo dai progetti validi, i gruppi che si auto-tassano per avere una cassa cuscinetto, i gruppi di tontines che credono nell'emancipazione, il lavoro delle persone che non si piangono addosso ma si sbattono per uscire da una situazione di miseria.
In Cameroun a volte si vedono due uomini adulti camminare assieme mano nella mano. Senza vergogna o malignità, è un segno di amicizia e di fiducia. L'Africa non chiede (e non deve chiedere) favori o pietà ma riconoscenza del suo valore, delle sue competenze, del suo lavoro. Chiede di essere presa mano nella mano, non come un vecchio in difficoltà, ma come un bambino che ha davvero voglia di crescere.
JJ
giovedì 12 aprile 2007
A lullaby for the losers
Out tonight
there's a lonely minstrel
playing some rhymes
with a wood tin whistle
he looks like praying his Jesus
he looks like praying his Jesus
Look at the eyes
of a heavy drinker
how much life
hid among the wrinkles
he always plays this jingle
always the same jingle
for the heroes unnamed
for the poets without fame
for who's waiting his time
I sing tonight
for those misunderstood
for the weird and the good (ones)
for those tired of the life
this lullaby
Hold you tight
all your precious stories
it comes the time
here's your while of glory
and God won't say you sorry
your God won't say you sorry
But tonight
you're the only singer
take your stage
and give us that whisper
we just need your whistle
we just need your whistle
for the poets without fame
for who's waiting his time
I sing tonight
for those misunderstood
for the weird and the good (ones)
for those tired of the life
this lullaby
for the failed idealists
for the old street prophets'
for who is wondering why
he's out tonight
for the kings without crown
for those stamped as clowns
oh can embrace them tonight
this lullaby
Fuori stasera
c'è un menestrello solitario
che suona qualche verso
con un fischio di legno
sembra stia pregando il suo Gesù
sembra stia pregando il suo Gesù
Guardi gli occhi
di un gran bevitore
quanta vita
nascosta fra le rughe
suona sempre questo ritornello
sempre lo stesso ritornello
per gli eroi senza un nome
per i poeti senza gloria
per chi sta aspettando il suo momento
stasera canto
per gli incompresi
per I strani e per i buoni
per quelli stanchi della vita
questa ninnananna
Tieniti stretto
tutte le tue preziose storie
arriva il momento
ecco il tuo attimo di gloria
e Dio non ti chiederà scusa
il tuo Dio non ti chiederà scusa
Ma stanotte
Sei l'unico cantante
Prenditi il tuo palco
e regalaci quel sussurro
abbiamo bisogno del tuo fischio
abbiamo bisogno del tuo fischio
per gli eroi senza un nome
per i poeti senza gloria
per chi sta aspettando il suo momento
stasera canto
per gli incompresi
per I strani e per I buoni
per quelli stanchi della vita
questa ninnananna
per gli idealisti falliti
per I vecchi profeti di strada
per chi si sta chiedendo come mai
questa notte è fuori
per i re senza corona
per quelli condannati ad essere pagliacci
possa abbracciarli tutti stanotte
questa ninnananna
Disponibile ora anche il video!
giovedì 5 aprile 2007
05-04-07 lo chiamano Guldum
L'incipit gutturale già suggerisce che il nome cela un notevole quantitativo di autorevolezza ma, se lo si conosce, allora Guldum si manifesta senza veli nella sua incontrastabile possanza.
Guldum è talmente importante che quando si incontra un amico per strada ancora prima di domandargli "Come stai?" gli si chiede "Come va con Guldum?". E spesso la risposta non è positiva.
Guldum è talmente forte che non dorme mai. Ogni sera prima di coricarsi qui ciascuno spera che almeno questa notte Guldum abbia bisogno di un po'di riposo ma sembra che la sua energia sia infinita.
Gli uomini hanno inventato ogni sorta di macchina per contrastarlo ma spesso è ancora lui a vincere.
Guldum nel paese da cui vengo io non esiste. Ma qui per tre mesi all'anno è l'assoluto sovrano e quando arriva piega i suoi sudditi come nessun altro re sulla terra.
Cari amici,
Guldum è arrivato. Mi avevano ben spaventato dal Sud e facevano bene: qui il caldo è qualcosa di inconcepibile, difficile anche solo da immaginare. E'assurdo perchè la temperatura non scende mai e quando soffia un filo di vento è aria calda. Se volete assaporare l'emozione, provate a mettervi vicino ad un forno e puntatevi un phon in faccia. Ma solo se siete molto solidali.
Ovviamente è un caldo secco quindi bevi tipo quattro litri d'acqua al giorno ma vai in bagno due volte, il termometro che abbiamo in salotto è sempre sopra i 35 gradi e quando abbiamo osato metterlo sul davanzale della finestra (ma comunque all'ombra) è salito fino al massimo, quarantacinque gradi, senza darci la soddisfazione di sapere fino a dove sarebbe potuto arrivare.
Ma la vera commedia è la notte. Qui per combattere l'arsura ognuno inventa e adotta le sue strategie. Io, oltre alla ventola che dalla sera al mattino gira al massimo sopra la mia testa, ho una bottiglietta col tappo forato (brevetto di Luca) che utilizzo tre o quattro volte in una notte per bagnare me e il letto che scotta e, essenziale, una scorta di due litri di acqua ghiacciata per dissetarmi.
Ogni tanto capita che ti svegli e corri sotto la doccia due minuti prima di rimetterti a dormire; un volontario che c'era qui l'anno scorso ogni sera metteva il cuscino in congelatore per garantirsi una frescura prolungata. Ma il rimedio migliore rimane quello di dormire fuori (come fanno tutti del resto, dato che non è che siano in molti ad avere ventole e mica ventole, e quasi nessuno – quello neanche noi – un impianto di condizionamento) anche perché durante la stagione secca non ci sono molte zanzare. Io e Luca due sere abbiamo preso la macchina e siamo andati a dormire alla ferme, un centro agricolo in piena brousse, a 15 km da Garoua, dove tira un filo di aria in più. Non vi dico che magia addormentarsi sotto un albero in mezzo alla savana, con le stelle sopra i nostri occhi e una mandria di animali a farci compagnia. La prima volta ho dormito senza interruzioni fino all'alba mentre la seconda il guardiano è venuto a svegliarci in piena notte per dirci che aveva bisogno della fionda che aveva dimenticato nella nostra macchina (qui i guardiani ci difendono con machete, arco o appunto fionda…).
Il lavoro procede bene. Concluso il mese di "osservazione" sono entrato a pieno ritmo nei due progetti e devo dire che questa dicotomia nella partizione del mio tempo mi permette di visionare le due realtà, così diverse tra loro.
Il programma Enfants de la Rue (EDR) è davvero ben organizzato, pensate che dalla sua nascita nel 1997 ha reinserito nelle famiglie di origine più di 450 ragazzi di cui l'82% si è stabilizzato mentre un'ottantina di ragazzi sono tornati in strada. I nostri bambini della Petite Maison (che a fine aprile sarà re-inaugurata SAARE JABBAAMA) hanno finito il secondo trimestre con delle medie molto alte e per questo li abbiamo festeggiati con tanto di canzoni, cena e saluti per le vacanze di Pasqua. Io ho preparato il succo di folerè (un fiore rosso molto amaro) ma mi sono dimenticato lo zucchero e i bambini sono venuti lo stesso a dirmi che era buono.
Una delle attività più emozionanti del progetto sono i viaggi di "ricerca" e "valutazione". Dietro a ogni ragazzino c'è una storia da ricostruire, un laborioso percorso investigativo da tracciare per cercare di affidarlo a un familiare. Come potete ben immaginare avere informazioni precise da un bambino di dieci anni non è la cosa più facile del mondo. Ci si affida ai vaghi ricordi e si parte per una caccia al tesoro che solo dopo svariati tentativi dà qualche risultato. Quando il reinserimento è stato effettuato i viaggi diventano "di valutazione" nel senso che di tanto in tanto si va a vedere se il rimpatriato sta bene, è ancora in casa, studia, lavora, etc..
Lunedì sono tornato da uno di questi viaggi: siamo partiti in 11 su un pickup, 7 "petit bandits" e 4 responsabili e siamo arrivati fino a Tokombéré, nell'Estremo Nord. Viaggio faticante, soprattutto guidare su strade impensabili per arrivare in questi villaggi dimenticati dal mondo; ma quando ti trovi davanti agli occhi un bambino di dodici anni che scoppia in lacrime dopo aver conosciuto sua madre che lo credeva morto pensi che questo viaggio lo avresti fatto anche in ginocchio.
Alla Maison Des Jeunes et de la Culture, centro sociale dall'importanza altrettanto capitale (pensate che alcuni musicisti famosi in Cameroun hanno impugnato la loro prima chitarra proprio in una MJC, un giornalista che ora lavora a Canal 2 è stato iniziato al mondo nella comunicazione in uno di questi centri) dato che di proposte sociali a livello statale, soprattutto qui al Nord, non ce ne sono, la mia presenza – tanto quanto l'utenza- è molto diversa. Se coi ragazzi di strada le richieste rispecchiano una necessità di soddisfazione dei bisogni primari, di attenzione e considerazione (ridono da matti se mi cimento in improbabili conversazioni o declamazioni in fulfuldè), le richieste ma soprattutto le risorse di una MJC chiedono un altro approccio e altri obbiettivi. Per ora ho collaborato con uno stagista nigeriano dalle rare capacità artistiche per cercare di risvegliare l'atelier di musica perso nei meandri dell'hip hop e della coupè decalè. Con lui ho suonato alla festa della donna, alla festa per la sua partenza e ho anche registrato un pezzo ignorante che forse esce sul suo album a Giugno in Nigeria. Non è che fosse proprio il mio sogno di quand'ero bambino ma la collaborazione è stata comunque interessante.
Con il gruppo di teatro abbiamo messo in scena una Biancaneve tropicalizzata (tipo che la mamma di Biancaneve moriva di malaria) e ora sto lavorando alla registrazione di una corale religiosa.
Cerco di fare tutto lasciando un'eredità e formando gli animatori locali (mai una lezione frontale ma uno scambio diretto molto empirico), è una delle cose che ho imparato da questi primi mesi: venire giù venti giorni come tre anni non ha comunque senso se dall'interazione non esce una capacità acquisita che possa essere sfruttata anche dopo la nostra partenza. Credo che anche adocchiando le nuove linee europee nella cooperazione internazionale si percepisca un cambiamento di rotta in questo senso diretto alla responsabilizzazione e al finanziamento di progetti di paternariato con ONG locali, oltre che alla indispensabile cooperazione tra gli enti stranieri (ONG, missioni…) che troppo spesso si calpestano i piedi su uno stesso territorio, cosa abbastanza paradossale in un ambito del genere. Comunque si scoprono progetti molto interessanti ma anche molti doppioni o strutture dalle finalità ignote. Quello che è sicuro è che di soldi ne girano e spesso non si capisce dove vanno a finire. E un'altra cosa sicura è che qui non hanno ancora capito che il tempo è una risorsa che vale tanto quanto i soldi.
E'incredibile, penso che ogni mail potrebbe essere lunga dieci pagine ci sono troppe cose che vorrei condividere con voi, anche solo le cose assurde che si vedono in giro (tipo: qui la maglietta di una squadra di calcio che sia il Cagliari o il Manchester, è uno satus symbol; però quando sono arrivato in un villaggio sperduto e ho trovato la moglie del capovillaggio sessantenne e senza denti con la maglia di Ljiumberg ho riso per un quarto d'ora), ma se c'è una cosa che non posso non fare è ringraziarvi per lo splendido regalo che mi avete fatto arrivare giù. Grazie a Smirne, ideatore e realizzatore del video (non so più che parole utilizzare per farti capire quanto mi stai aiutando), grazie a tutti quel che hanno contribuito o mi hanno "solo" lanciato un saluto davanti alla videocamera, è stato un momento particolare per me: mi sono sentito a casa.
Dal paese senza aria e senza tempo un abbraccio caloroso a ciascuno di voi.
Alla prossima puntata
jj
domenica 11 marzo 2007
Dreamland
Dreamland
Take my hand and we’ll travel till there
Close your eyes and let you go
Put your wings and fly with me
Dreamland
Oh dreamland
I come again
Don’t keep me back
That world is waiting for me
Don’t call me mad
If I’m in love with the wind
I seen it
Yes, I been there
Just like you
Dreamland
Cross the door of that place where’s no end
At the things that you can see
And the world will call us fool
Dreamland
Oh dreamland
On see again
Don’t ever say
Such a place can’t exist
Follow my way
It’s just out of the mist
Feel it
Just believe it
You’ll be in
Cause it can give more than anything else
There can hear stories never told
And when a little desert swallows your heart
His arms will ready you to hold
...
Il posto dei sogni
Prendi la mia mano e viaggeremo fino a lì
Chiudi gli occhi e lasciati andare
Metti le tue ali e vola con me
Posto dei sogni
Oh posto dei sogni
Sto arrivando un altra volta
Ti prego, Non trattenermi
Quel mondo mi sta aspettando
Non chiamarmi pazzo
Se sono innamorato del vento
Io l’ho visto
Si io ci sono stato
Proprio come te
Posto dei sogni
Varcare la porta del luogo dove non c’è limite
Alle cose che puoi vedere
E il mondo ci chiamerà pazzi
Posto dei sogni
Oh posto dei sogni
Ci si rivede ancora
Non dirmi mai
“un luogo così non può esistere”
Segui me
E’proprio lì fuori dalla nebbia
Sentilo
Basta crederci
E ci sarai dentro
Perchè può darmi più di qualunque altra cosa
Lì si possono ascoltare storie mai raccontate
E quando un piccolo deserto invaderà il tuo cuore
Le sue braccia saranno pronte ad accoglierti
sabato 10 marzo 2007
10-03-07: Quando pensiamo di poter tenere il mondo in una mano
Carissimi,
settimana scorsa ho festeggiato i miei primi due mesi in Cameroun e ho dunque deciso di farvi qualche regalo. Il primo è la canzone che ormai da qualche giorno ho pubblicato (pardon, l'efficacissimo Smirne ha pubblicato) sul blog: è il frutto di una serata passata con qualche amico in un cortile, sotto un cielo stellato e con l'odore dei corpi sudati nelle narici, suonando la musica più calda del mondo.
La seconda sono le foto che vi sto inviando, così che possiate lasciarvi incantare e provocare dalla visione di immagini inconsuete per i nostri occhi.
La terza è questa frase che dà un senso al mio essere qui, lontano da casa, da voi e dalle abitudini assimilate in ventidue anni di vita. E' il pensiero di un signore che qualche mese fa è stato premiato con il Nobel per la Pace.
Questa settimana a Garoua si respirava un atmosfera surreale: mercoledì ci siamo svegliati avvolti nella brume secche, una nebbia fittissima di sabbia e polveri sollevatesi dal deserto che ti entrano dappertutto, portando addirittura a contrarre infezioni e meningite, motivo per cui molta gente non usciva di casa.
Inoltre da qualche giorno la polizia sta mettendo a setaccio i conducenti abusivi di mototaxi; chi viene trovato sprovvisto del permesso si becca una ammenda non da ridere e quindi trasporti bloccati e altra gente costretta a stare a casa.
Ma soprattutto venerdì mattina – dopo cerimonia stracabarettstica del giovedì sera- si è sparsa la voce che il Pallone d'oro africano è stato consegnato all'ivoriano Drogba e non a Sant' Eto'o…sorta di lutto nazionale e di conseguenza gran parte dei negozi chiusi.
Aggiungete alla nube di sabbia e allo spopolamento le spettrali carcasse delle auto abbandonate che imperversano ad ogni angolo della strada e, se siete della mia generazione, immaginate le ambientazioni post-atomiche di Ken Shiro. Qualcosa di simile.
Pian piano mi sono ambientato anche qui al Nord. Il clima sta diventando sempre più torrido, e nelle ore centrali della giornata il termometro non s'azzarda a scendere sotto i quaranta gradi (qui c'è addirittura chi dice, forse per mancanza di termini di paragone, che Garoua sia la città più calda al mondo) ma per fortuna la casa ben ventilata per ora è ancora un rifugio piuttosto fresco e, altra fortuna, i miei coinquilini (Chicco, amministratore di tutti i progetti COE di Garoua; Angelle responsabile della casa; Sara e Isia, due ragazze torinesi laureande in farmacia venute per un progetto, che nonostante la loro infinita volontà non è ancora partito; Luca, agronomo di Milano, che è arrivato da qualche giorno) sono tutte persone piacevoli.
Ma la fortuna più grande è quella di essere stato inserito in due bellissime realtà con personale preparato e tante ambizioni. Il primo è il progetto EDR (Enfants de la Rue –Ragazzi di strada), che punta attraverso strutture e attività differenti ad aiutare i numerosi ragazzi e bambini che per vari motivi sono finiti sulla strada. Garoua è una città di riferimento per tutto il Cameroun settentrionale, un centro economico e commerciale che gira intorno alla Sodecoton (l'industria che dà lavoro a più persone e produce di tutto; sta a Garoua un po' come la Fiat sta a Torino) dunque i ragazzi che lasciano i villaggi è qui che cercano fortuna o solamente un po' di avventura. Spesso la decisione di lasciare le famiglie cela problemi di convivenza (forse il caso più diffuso è quello della matrigna che maltratta i figli avuti dal padre con la prima moglie), sta di fatto che le strade sono colme di ragazzi di 8-25 anni che vivono alla giornata cercando di racimolare la cifra sufficiente per mangiare e prendere gli stupefacenti (soprattutto la kola che ti sballa per qualche ora facendoti passare l'appetito). La sfida educativa è enorme perché spesso i ragazzi sono sulla strada da tempo e non hanno intenzione di abbandonarla: la libertà, oltre al senso del branco, per molti di loro conta davvero più di tutto. L'intervento è bilaterale: si cerca di lavorare su di loro ma nello stesso tempo sulle famiglie per valutare un possibile reinserimento. Concretamente 5 educatori (tutti camerunesi, più me adesso) si alternano nei differenti ambiti in cui si sviluppa il progetto : la maison de jeunes dove 2 volte alla settimana si accolgono i ragazzi di strada - con una media di 40-50 presenze-, si gioca, si guarda un film, si effettuano medicazioni, si offre loro un pasto e la possibilità di lavarsi e lavare i loro vestiti oltre ad una costante possibilità di scambiare due parole; la strada, dove ogni sera un educatore a turno va a controllare se ci sono problemi; la prigione; i viaggi per andare a incontrare le famiglie d'origine; la Petit Maison dove vivono a tempo pieno 13 ragazzini che hanno scelto di cambiare vita; la ferme, dove si offre un percorso di ricupero ai ragazzi più grandi.
Il secondo è un progetto di animazione con relativa Maison de Jeunes simile a quella di Yaoundè ma con utenza più elevata e con attività più strutturate.
Più passa il tempo e più sono felice della mia scelta. La possibilità di vedere realmente è un privilegio senza uguali. Inoltre i ritmi camerunesi, rallentati dalla canicola che giorno dopo giorno si fa sempre più soffocante, mi offrono l'occasione per pensare, per progettare, o solamente per uscire di casa e sedermi in un bar accanto a qualche vecchio solitario che ha voglia di farsi ascoltare. A volte andiamo a cercare le risposte ai problemi della vita chissà dove, ci riempiamo di tutto per non sentire che dentro qualcosa muore, dimenticandoci dei preziosi segreti di cui sono custodi tanti uomini, donne, bambini che abbiamo accanto ogni giorno e che facciamo finta di non vedere. Sono storie di vita, storie assurde che raccontano un mondo che noi frenetici abitatori di città, impeccabili esecutori, consumatori di pacchetti, percepiamo come un universo tangente ma nel quale ci guardiam bene dall'addentrarci.
Penso a Brigitte che ha un marito cieco e un figlio disabile e ogni mattina puntualissima viene col sorriso a lavorare nella casa dei bianchi
Penso ad Aziz che è cresciuto giocando nella stanza dove la mamma "intratteneva" i clienti.
Penso a Douxa che non si vergogna a dire che la sua faccia è stata deturpata dall'acido che gli hanno tirato addosso perché l'han sorpreso a rubare.
Penso a David che mi racconta la trama di film che ha inventato solo per guadagnarsi un po'd'attenzione.
Penso a Esperance che a 50 anni ha ancora voglia di giocare col corpo insegnando il Teatro senza chiedere nulla.
E poi penso a quanto è bello e quanta importanza abbia passare dall'essere chiamato nassara (uomo bianco) a essere chiamato Paolo.
Quanto mi piacerebbe che foste qua a vedere tutto ciò coi vostri occhi. Quanto vorrei potervi avere accanto in questa esperienza.
JJ